Attualità del pensiero di Giuseppe Dossetti
 
GIUSEPPE DOSSETTI NELLA RESISTENZA 

di Sergio Flamigni

Parlo di Dossetti nella Resistenza, Dossetti  partigiano. Ne parlo da ex ufficiale partigiano della  stessa regione, l’Emilia Romagna, dove la  Resistenza ha avuto caratteristiche particolari di  origine e di sviluppo e dove la partecipazione  popolare contro i nazifascisti è stata la più alta di  tutta Italia.  

 In quella partecipazione Dossetti ha compiuto una  fondamentale esperienza politica.  

Gli otto anni che vanno dall’inizio della guerra di  Liberazione all’incontro di Rossena del settembre  1951, in cui si sciolse il gruppo dei dossettiani,  furono per Dossetti tutti anni di grande impegno  politico, ma credo che sia stata fondamentale la sua  esperienza della Resistenza emiliana, dalla quale ha  potuto trarre insegnamenti che gli permisero di  divenire la guida della corrente d’avanguardia della  DC. 

I primi contatti con l’organizzazione della  Resistenza, sotto l’egida del CLN, Dossetti li ebbe a  Cavriago, vicino a Reggio Emilia, paese di origine  della madre, abitato soprattutto da braccianti e  contadini, un paese di tradizione socialista, dove il  padre era il farmacista. Lì Dossetti aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza, frequentato le elementari, assieme al fratello Ermanno.  

Il 1° maggio 1921, mentre a Cavriago, si celebrava  la festa del lavoro, una spedizione di squadristi  fascisti, venuti da Reggio, commise un eccidio: due  giovani socialisti furono uccisi, un ferito venne  portato a braccia nella farmacia Dossetti, dove un  medico chirurgo intervenne a togliere un proiettile  dal collo del ferito. Giuseppe Dossetti aveva 8 anni e il fratello Ermanno 6, e rimasero profondamente  impressionati dalla violenza fascista di quella  giornata.  

 Anche sotto la dittatura Cavriago continuò ad  essere un paese con tanti antifascisti. Il PCI in  Emilia non cessò mai di svolgere la propria attività  clandestina. 

La volontà di azione antifascista crebbe dopo  l’entrata in guerra con i sacrifici imposti dai  razionamenti, le ruberie dei gerarchi, i bombardamenti, le sconfitte militari.  

 Il 25 luglio 1943 alla caduta del fascismo e  all’arresto di Mussolini seguirono manifestazioni di esultanza popolare. Il popolo  sperava nella Pace e nella libertà.  

Invece il governo militare intervenne con la  famigerata circolare Roatta, il capo di Stato  Maggiore dell’esercito, che ordinò di reprimere,  anche sparando, ogni manifestazione, corteo, 

comizio o assembramento. Aveva scritto Roatta: «… Chi si oppone agli ordini delle forze armate sarà  passato per le armi…I soldati che solidarizzano con  i manifestanti saranno passati per le armi…» Il 27 luglio in tutte le principali città dell’Emilia si  svolsero cortei e comizi. Nella mia città, Forlì, la  polizia sparò, causando due feriti, mentre i soldati  non spararono e i cittadini ruppero i cordoni dei  militari e occuparono la Piazza Saffi dove si svolse  il comizio. Ma a Reggio Emilia venne aperto il  fuoco contro un corteo di operai delle Reggiane: 8 i  morti.  

 L’8 settembre, all’invasione dei tedeschi, il generale Roatta, scappò dal suo posto di comando consegnando ai nazisti gran parte del territorio nazionale e lasciando Roma indifesa. Mentre l’esercito si sfasciava, gli operai delle officine reggiane decisero di organizzare la Resistenza e la guerra partigiana e di partecipare alla formazione delle Brigate Garibaldi. 

 A Cavriago, dopo la caduta del fascismo e  l’eccidio reggiano, Onder Boni, Emore Gilli, Ugo  Boni, che avevano frequentato le elementari con  Giuseppe Dossetti e che, come antifascisti avevano  conosciuto l’esperienza della persecuzione politica e del carcere fascista, tornati liberi, avevano le idee  chiare sul da farsi: unire le forze antifasciste per conquistare la democrazia e la pace e si dedicarono  alla costruzione del Partito comunista italiano.  Dossetti era in contatto con loro e frequentava un  gruppo di laureati cattolici che discutevano  sull’ipotesi della creazione di un partito politico dei  cattolici. Essi avevano idee contrastanti: Dossetti  era contro la ricostituzione di un partito di cattolici,  avrebbe voluto invece che i cattolici si impegnassero nelle diverse formazioni politiche democratiche.   Nell’agosto 1943 Dossetti, incaricato dal gruppo  cattolico reggiano, si recò a Milano dove ebbe  contatti con gli intellettuali cattolici che lo misero a  conoscenza delle idee e ipotesi in discussione circa  l’impegno politico dei cattolici nella nuova fase  storica. Da queste idee non scaturivano direttive  operative, per cui egli continuò a pensare che fosse  dovere dei cattolici assumere responsabilità nelle  formazioni politiche democratiche di loro  preferenza. Ritornò in Emilia dopo avere ottenuto  l’impegno di Lazzati e La Pira a partecipare a  conferenze riservate che si svolsero a Reggio Emilia ai primi di settembre.  

 All’otto settembre la situazione subì un  cambiamento radicale.  

Sappiamo che prima della fine del ‘43 in un incontro nel modenese con il cattolico Gorreri, favorevole ad organizzare la guerriglia, Dossetti manifestò dubbi e sostenne che i cattolici dovevano svolgere esclusivamente attività assistenziale. Dossetti aveva orrore della lotta cruenta e comunque sosteneva l’inserimento dei cattolici nell’attività partigiana a titolo individuale. Ma quando si scatenò la barbarie nazifascista delle fucilazioni Dossetti aggiornò la sua posizione.  

 Il 28 dicembre 1943 vennero fucilati i sette fratelli  Cervi al tiro a segno di Reggio Emilia. L’eccidio  parlava a tutte le coscienze. Un mese dopo sempre al tiro a segno vennero fucilati don Pasqualino Borghi  ed altri otto antinazisti. 

 All’inizio del 1944 nel periodo tra i due eccidi,  Giuseppe Dossetti decise di impegnare le proprie  energie nella lotta resistenziale e aderì al CLN di  Cavriago in rappresentanza della Dc; al fianco aveva un suo compagno alle scuole elementari  Emore Gilli in rappresentanza del Pci, mentre per il  Psiup partecipava Francesco Guerri; poco dopo  aderì anche il dott. Dino Iotti per il PdA.   Il comitato programmò e in breve tempo realizzò  la costituzione dei CLN in tutta la zona: Montecchio Emilia, Bibbiano, Quattro Castella e altre località. Si creava dalla base antifascista e popolare il tessuto  della nuova democrazia in Emilia. Incessanti erano  gli incontri, le riunioni, le azioni clandestine.  Dossetti venne a contatto con la realtà popolare in  un momento storico particolare dell’Emilia. Da quella nostra realtà Dossetti imparò a guardare  lontano, verso il futuro del paese. Il principio della  solidarietà che sarà scritto nella Costituzione come  principio fondante del nuovo Stato, Dossetti lo visse  pienamente nella realtà popolare della Resistenza.  Il comunista Gilli ricorderà di avere ricevuto da  Dossetti una bozza di Costituzione del nuovo Stato,  elaborata da lui assieme a colleghi dell’Università  cattolica, una ventina di cartelle dattiloscritte  contenenti i principi fondamentali dello stato  moderno. Gilli consegnò quel testo in visione ad  altri e si rammaricherà poi della perdita di quel  documento. Il fatto verrà confermato da un giovane  partigiano delle Fiamme Verdi. 

 Ma perché i nazi fascisti usavano il terrore della  rappresaglia con tanta ferocia? 

Perché erano stati sconfitti dalla solidarietà  popolare. Le forze antifasciste e antinaziste in  Emilia avevano vinto la loro prima battaglia  popolare, una battaglia che ebbe valore strategico.  La Repubblica di Salò aveva chiamato alle armi i  giovani della classe 1925 e di parte della classe  1924. Gruppi di giovani coscritti antifascisti  decisero di rendersi protagonisti del proprio destino,  scelsero di riconoscere come governo legittimo del  paese il CLN e rifiutarono la chiamata del governo  della repubblichina di Salò e si organizzarono per rivolgersi ai propri coetanei a seguire il loro  esempio. «Venite con noi! Per combattere tedeschi e fascisti e costruire una nuova patria» fu l’appello  scritto nella stampa clandestina e diffuso in  tantissime riunioni segrete tenute nelle stalle dei  contadini e in selezionati locali di ritrovo nei centri  abitati. Si poteva scegliere di andare coi partigiani in montagna oppure organizzare gruppi o squadre di  patrioti in pianura, vicino alla propria famiglia e alla propria casa. 

In Emilia oltre il 60% dei giovani non si  presentarono alla chiamata e la maggioranza dei  presentati ben presto disertò e una parte di loro portò con sé le armi e si arruolò nelle formazioni  partigiane.  

 Fu una battaglia strategica perché per ogni giovane mezzadro o coltivatore diretto che convincemmo a  venire con noi successe che ben presto avemmo  dalla nostra parte anche i suoi familiari, le madri  innanzitutto, e questo spiega, in buona misura, la  grande partecipazione delle donne emiliane alla  guerra di liberazione. Significò la possibilità di  aggregare gruppi di partigiani e suscitare la  solidarietà che ci procurò rifugi, cibo e la speranza  di conquistare un futuro di libertà e giustizia. E per i  contadini emiliani giustizia sociale voleva dire  riforma agraria e la prima tappa fu la difesa del  grano, del bestiame, dei prodotti agricoli dalle razzie dei tedeschi e il rifiuto di conferire i prodotti agricoli agli ammassi fascisti per dividerli invece con i  partigiani e gli sfollati dalle città bombardate.  Non fu un caso che nel pieno del suo impegno  resistenziale Dossetti scrisse la «lettera della Dc ai  lavoratori». con la quale delineava i tratti  fondamentali del nuovo Sato democratico e  sottolineava in particolare i temi della democrazia  economica, della riforma agraria, della  ricostituzione delle cooperative, della precisazione  di un piano del lavoro per la ricostruzione e lo  sviluppo soprattutto delle piccole e medie imprese.  Infatti su queste linee guida si realizzerà prima la  ricostruzione, poi lo sviluppo economico e sociale  dell’Emilia-Romagna. 

 L’unità d’azione e di intenti contro il nemico  comune nazifascista non escludeva diversità di  opinioni tra Dossetti e i colleghi socialisti e  comunisti, ma i temi venivano dibattuti con estrema  correttezza e sincerità, sempre con reciproco  rispetto, un metodo che agevolava la costruzione di  una comune intesa. Un metodo di dialettica  costruttiva che verrà applicato con grandi risultati  all’Assemblea Costituente, mentre appare in gran  parte bandito dalle forze politiche di oggi.  L’attualità dell’insegnamento di Dossetti emerge, tral’altro, proprio per la sua capacità di ricerca del  dialogo costruttivo. 

 Applicando questo metodo nella zona di Cavriago  e paesi limitrofi, una zona della pianura emiliana  dove più intensamente si svolse l’attività operativa  della Resistenza, Giuseppe Dossetti si affermò come esponente politico cattolico della intera provincia di  Reggio Emilia. Infatti verso la fine del 1944 venne  nominato presidente del Comitato provinciale del  CLN con l’appoggio sincero di tutte le forze  politiche.  

 Un momento di contrasto tra Dossetti e i compagni socialisti e comunisti, si ebbe inizialmente a  proposito dell’inserimento dei giovani nella guerra  partigiana. Dossetti criticò la metodologia con cui  avveniva l’arruolamento dei giovani, senza la  selezione e valutazione necessarie per escludere gli  immaturi e per avere la sicurezza di evitare eventuali delazioni o possibili infiltrazioni di spie. Pesava su  Dossetti quanto era accaduto a Don Pasquino  Borghi, fucilato il 30 gennaio 1944 al tiro a segno di Reggio assieme ad altri 8 patrioti. Dossetti aveva  incontrato don Pasquino 19 giorni prima nella  canonica di San Pellegrino assieme al parroco don  Angelo Cocconcelli e l’aveva voluto avvertire di  usare maggiore cautela nell’accogliere nella sua  canonica di Tapignola i giovani ribelli; ma quell’avviso risultò vano. Tuttavia le critiche di  Dossetti ebbero l’effetto di indurre comunisti e  socialisti a effettuare l’arruolamento dei giovani  nelle brigate garibaldine applicando con maggior  vigore la “vigilanza patriottica”, arruolamento che  divenne incontenibile dopo la pubblicazione da parte della Repubblica di Salò dei bandi di chiamata  obbligatoria alle armi, dei giovani nati nel 1921,  1922, 1923 e parte del 1924. Nonostante Mussolini  avesse decretato la fucilazione al petto per i  renitenti, in Emilia Romagna anche la grande  maggioranza dei giovani di quelle classi respinse  l’ordine di presentarsi e in gran parte si arruolò nelle formazioni militari riconosciute dal CLN,  considerato il vero legittimo governo. 

 Nella attività clandestina Dossetti assunse il nome  «Benigno». Egli era contrario alle uccisioni “a  freddo” dei nemici, come spesso venivano eseguite  dai garibaldini dei GAP (Gruppi Armati Patriottici),  nelle loro azioni di sorpresa o imboscate. Avrebbe  preferito la cattura dei nemici per poi effettuare  scambi di prigionieri. Nei casi in cui questo si rese  possibile Benigno si adoperò per lo scambio di  prigionieri e per la salvezza di vite umane.  Comunque, superata la fase iniziale e di fronte agli  eccidi compiuti dai nazifascisti Dossetti non esitò a  contribuire all’organizzazione dei Gap e delle SAP (Squadre di Azione patriottica) e da allora tutte le  operazioni delle formazioni militari vennero  concordate unitariamente dai rappresentanti dei  partiti del CLN.  

 Il dissenso di maggior rilievo con i comunisti  Dossetti lo ebbe riguardo alla esistenza e all’attività  dei commissari politici. Il Commissario politico era  nelle Brigate Garibaldi e in altre formazioni  partigiane, una figura importante quanto quella del  Comandante militare, doveva provvedere alla  preparazione politica patriottica, alla disciplina e al  senso di responsabilità dei partigiani, doveva  stimolare il senso morale dell’altruismo e della  dignità e dell’onore dei combattenti, doveva curare i  buoni e solidali rapporti con la popolazione del  territorio ospitante. Solitamente l’incarico veniva  attribuito alla persona di qualificata esperienza  politica e di specchiata moralità. Dossetti si rendeva  conto che il movimento cattolico reggiano in merito  ad esperienza politica antifascista non poteva  competere con i partiti comunista e socialista; questi disponevano di numerosi elementi che avevano  studiato nelle galere fasciste o fatto esperienze in  esilio o organizzato attività antifascista nelle  fabbriche reggiane. Al tempo stesso diffidava dei  commissari politici, in gran parte di ideologia  marxista, poiché credeva che essi reclutassero i  giovani partigiani al Pci o al Psiup. La pungente critica di Dossetti fu però superata a seguito di un  accordo che indusse il Comando Unificato delle  formazioni partigiane a nominare un cattolico a vice  commissario generale che aveva come aiutante il  fratello Ermanno Dossetti, e ad affiancare ogni  Commissario politico delle Fiamme Verdi da un  vice commissario cattolico.  

 Intervistato in montagna alcune settimane prima  dell’insurrezione nazionale, Il partigiano Benigno  dichiarò al giornale ciclostilato dei partigiani  reggiani: «Le Brigate Garibaldi del reggiano sono  veramente degne di ammirazione per la loro attività  che è la nostra lotta. C’è da essere fieri di avere  avuto come compagni di lotta questi giovani  garibaldini che con tanto entusiasmo si sono  impegnati nella lotta contro i nostri nemici». Parole  chiare e sincere che dimostravano che anche i  commissari politici avevano ben adempiuto i loro  compiti e doveri.  

 La popolazione di Cavriago durante la guerra di  liberazione fu nella stragrande maggioranza  impegnata a sostegno del movimento partigiano e  l’unità dei partiti del CLN contribuì a suscitare la  partecipazione popolare in misura tale da garantire  alle azioni dei partigiani copertura, sostegno e  sviluppo fino alla insurrezione. Ciò richiese anche  coraggio, determinazione ed eroismo come attestano le tre staffette partigiane: Rosina Becchi, Tina  Boniburini, Lucia Bruna Davoli, decorate di  medaglia d’argento al valore militare, che, dopo  essere state arrestate hanno resistito alle torture e  sevizie dei fascisti e non hanno svelato nulla di  quanto sapevano sui contatti e le basi della rete  organizzativa e sui capi del movimento partigiano.  L’aria della resistenza popolare di Cavriago venne  respirata anche da Nilde Iotti, che, sfollata dalla  città, manteneva i contatti con l’organizzazione dei  Gruppi di difesa della donna di Reggio Emilia e che  verrà poi eletta all’Assemblea Costituente assieme a  Dissetti.  

 Il contributo dei cittadini di Cavriago alla  Resistenza fu rilevante anche per il sostegno dato  alla attività del CLN a livello provinciale. Quando  Dossetti assunse la presidenza del CLN provinciale  di Reggio Emilia, a rappresentare il Pci in quel  Comitato era Angelo Zanti, di Cavriago (sua figlia,  Carmen, era staffetta del Comando generale delle  Brigate Garibaldi). Molti degli incontri di Dossetti  con Angelo Zanti si svolgevano a Cavriago, in un  luogo sicuro: l’asilo infantile gestito dalle suore.  Don Angelo Cocconcelli, già parroco di Cavriago,  divenuto parroco di San Pellegrino a Reggio Emilia,  metteva a disposizione la sua canonica per le  riunioni del Comitato provinciale di Liberazione.  Ma a Reggio gli incontri e le riunioni si svolgevano anche in altri luoghi e l’attività clandestina non era  altrettanto protetta come a Cavriago. Infatti a seguito di una delazione fu arrestato Angelo Zanti del CLN  

provinciale che aveva con sé l’elenco dei membri  del Comando Piazza militare della pianura,  immediatamente arrestati anche loro. Condannati a  morte la sentenza venne eseguita solo contro il  comunista Zanti, fucilato il 13 gennaio 1945, dopo  essere stato sottoposto a eferate torture. Gli altri  vennero graziati. La differenza di trattamento tra i  condannati fu voluta dai nazifascisti con lo scopo di  provocare una divisione tra i comunisti e cattolici,  ma la manovra fallì proprio perché i dirigenti  comunisti e cattolici ne compresero il significato e  continuarono la lotta anche se era diventata più  difficile per le perdite subite. Zanti, promotore dei  Gap e del CLN a Reggio, conosceva molti quadri  dirigenti del suo partito come molto conosceva della rete dei CLN e della Resistenza, sottoposto a  efferate torture dai fascisti, nulla riferì loro, che  potesse recare danno a compagni e amici. Sarà  decorato di medaglia d’argento alla memoria dal  Corpo Nazionale Volontari della Libertà.  

 Dopo gli arresti e la fucilazione di Zanti, il CLN  provinciale si sfaldò: Dossetti rimase isolato, assai  difficili e problematici erano divenuti i collegamenti  dopo l’arresto di suoi collaboratori, e sotto l’incalzare dei rastrellamenti dei nazifascisti e le  azioni dei Gap e delle Sap. Alla fine del 1944 a  Cavriago era stato ferito e arrestato Onder Boni.  

 Giuseppe Dossetti e il fratello Ermanno si resero  conto dei rischi che stavano correndo e accettarono  il consiglio di spostarsi in montagna. Però prima di partire per la montagna Dossetti si recò a Villa  Cella, a quattro chilometri da Cavriago, dove  incontrò i rappresentanti del Pci con i quali  concordò come ricostituire il CLN decimato. Tra gli  altri era presente Cesare Campioli, tornato  dall’esilio in Francia, era presente pure Emore  Gilli, il compagno delle elementari. Del gruppo dei  promotori della lotta antinazifascista a Cavriago  Gilli era rimasto solo, dopo la fucilazione di Angelo  Zanti e il ferimento e l’arresto di Onder Boni, altro  compagno delle elementari. Al momento di  congedarsi Dossetti disse a Gilli: «Occorre una  coscienza eroica come la tua. Tu devi continuare la  lotta da solo». Si salutarono affettuosamente e si  rividero il 25 aprile a Reggio liberata dai partigiani,  quando Dossetti venne riconfermato presidente del  CLN provinciale.  

In montagna Dossetti collaborò a ristrutturare e  raggruppare squadre di armati sparse operanti  soprattutto nella zona pedemontana senza  coordinamento e disciplina. Fu tra i promotori dell’unificazione di tutti i raggruppamenti sparsi e  che formarono la 285 Brigata SAP, affidata al  comando di Gismondo Veroni, comunista, che  aveva ammirazione per Benigno, per la sua capacità  di affascinare i partigiani quando parlava dell’Italia  che dovevamo costruire nuova dopo la cacciata dei  tedeschi. Benigno spiegava che non si dovevano  restaurare le vecchie strutture dello stato pre-fascista che escludeva dalla partecipazione alla vita civile la  maggior parte dei lavoratori. Prevedeva inevitabile  la scelta della Repubblica per le gravi responsabilità  della Monarchia nell’avvento e consolidamento  della dittatura, per le colpe nella guerra fino alla  catastrofe dell’8 settembre. Piaceva molto come  Benigno delineava i tratti fondamentali del nuovo  Stato perché l’uomo fosse veramente tale e dove  tutti i partiti concorressero alla vita democratica; la  stessa Chiesa cattolica avrebbe dovuto rivedere  alcune sue posizioni. Secondo il comandante  Gismondo Veroni, Benigno disse anche: «Potremo  riesaminare anche il problema dei beni temporali  della Chiesa».  

 In montagna Dossetti si adoperò per migliorare i  rapporti di collaborazione tra la formazioni  autonome delle Fiamme Verdi e le Brigate Garibaldi e riuscì a sciogliere la tensione che si era  determinata a seguito dei lanci con paracadute di  armi e rifornimenti da parte degli alleati che avevano privilegiato le Fiamme Verdi e trascurato le Brigate Garibaldi, uno squilibrio che aveva suscitato malumori nei garibaldini. Dossetti fu un partigiano,  ma restò sempre disarmato anche quando dovette eseguire compiti rischiosi e si trovò in mezzo ai  partigiani in battaglia come avvenne a Ca’  Marastoni il 1 aprile 1945. 

A nome della Giunta della montagna firmata Fedele, Dossetti scrisse una lettera ai parroci. 

 Di quella lettera mi hanno particolarmente colpito  due brani: un primo che appare di estrema attualità.  Esso reca: 

«Non si può nemmeno lontanamente pensare che la  presente crisi possa essere superata se non riusciamo a distogliere gli uomini più retti e competenti da  quell’assenteismo e da quel disinteresse per ogni  attività e responsabilità politica che è ormai  diventata una secolare tradizione della vita italiana». Il secondo inizia con le parole: «L’atteggiamento  pratico che ci sembra preferibile nei confronti del  comunismo».  

Il “Fedele” Dossetti poi scrive: «Ora al riguardo noi  riteniamo che si debba anzitutto distinguere tra  piano ideologico e piano pratico. Sul piano  ideologico dobbiamo esprimere dissenso e critiche.  Ma le critiche debbono essere prive di animosità,  oggettive, scientifiche e per farlo occorre conoscere i testi marxisti… perché non capiti che l’operaio o il  contadino, aggiornati dalla propaganda del partito  non si accorgano di conoscere il “vero comunismo”  più e meglio del loro parroco…. dobbiamo  assolutamente, ripetiamo assolutamente evitare ogni  attacco alle persone, ogni denigrazione alle  organizzazioni». 

 Solo un maestro che sinceramente credeva nel  valore costruttivo del dialogo e guardava lontano  poteva scrivere quelle parole.  

 Infatti Dossetti sarà alla Costituente uno dei  protagonisti principali di quel dialogo che saprà  bene interpretare il dettato politico e morale della  Resistenza e scrivere la Costituzione repubblicana.  

 Durante una seduta del CLN di Cavriago, in un  momento di comuni sacrifici e di intensa unità  d’azione, il comunista Gilli pose il problema della  Collaborazione tra i partiti dopo la liberazione.  Disse Dossetti: «Io sono seduto su questa sedia, ma  potrei sedere su una delle vostre: se la Dc dovesse  cambiare linea d’azione io non la seguirei più».  Perché Dossetti nel 1951 si dimise da ogni incarico  nella Dc, e all’inizio del 1952 si dimise anche dal  Parlamento?  

 Il rifiuto del dialogo con i comunisti e i socialisti,  l’accettazione dei voti fascisti da parte di Tambroni,  causarono, nel luglio 1960, le proteste e le sparatorie sanguinose della polizia contro i dimostranti  antifascisti e il massacro più grande avvenne proprio a Reggio Emilia, dove le forze di polizia uccisero  cinque giovani comunisti.  

Concludo leggendo un brano del discorso di  Giuseppe Dossetti nel 1988, in occasione del  conferimento della cittadinanza onoraria del Comune di Cavriago, pubblicato nell’opuscolo  intitolato «Ho imparato a guardare lontano».   «… Nel 1942 ho ritrovato i vecchi compagni i  quali anche loro avevano fatto la loro carriera, per  così dire, una carriera diversa dalla mia. Emore  Gilli, Oder Boni, Ugo Boni avevano conosciuto le  galere del fascismo. Io avevo fatto l’Università  ancora abbastanza tranquillamente, loro invece  avevano subito le persecuzioni politiche conseguenti alla loro formazione e alla loro partecipazione già da allora all’antifascismo. Li ho ritrovati, li ho ascoltati, lunghi interminabili colloqui. Direi che allora ho  imparato l’ascolto, ho imparato il rispetto anche là  dove non potevo condividere le idee. E poi più  avanti (negli anni immediatamente successivi e  durante la Resistenza e l’immediata liberazione) pur  quanto non potevo condividere la prassi e le azioni,  c’è stato sempre l’ascolto, un ascolto che mi ha  cambiato, perché è stato un ascolto profondo, leale,  e sempre di più ho assunto progressivamente non il loro inquadramento generale, ma l’assunzione dei  loro problemi e l’assunzione dell’esigenza di  cambiamenti profondi della nostra struttura sociale e della nostra politica civile. Io debbo a Cavriago una  parte sostanziale della mia formazione esistenziale.   L’impegno, l’Università, gli studi post  universitari, direi che non mi hanno dato tanto,  questa è l’affermazione che può stupire, quanto mi  ha dato esistenzialmente Cavriago. Non è una  dichiarazione che pronuncio adesso per la volontà di lusingarvi, è una riflessione profonda su la mia  lunga esistenza. Se io fossi stato solo l’universitario  o anche il professore di diritto, se fossi stato solo  quello potrei dire adesso che sarei stato ben povero,  forse ricco maggiormente di scienza, ma certo più  povero e più limitato, meno aperto su tanti problemi  della esistenza ai quali sono stato iniziato qui a  Cavriago dall’ascolto dei miei vecchi compagni  delle elementari, soprattutto di loro. Quindi se ho  fatto l’Università a Bologna, direi che ho fatto degli  studi a Bologna e ho fatto l’Università della vita a  Cavriago”.  

Nota: ho scritto questa comunicazione valendomi di informazioni fornitemi dai miei compagni di  Cavriago (Onder Boni lo conobbi quando era  segretario della Federazione del Pci di Reggio  Emilia, da William Casotti ex sindaco di Cavriago e autore del libro ”Un partito, un paese i comunisti a  Cavriago), e dal libro di Salvatore Fangareggi “Il  partigiano Dossetti”.