Presentazione libro "Populismo. Un vizio atavico della storia d'Italia"
di Aurelio Rizzacasa
Il volume sul quale si concentra il nostro dibattito presenta da un duplice punto di vista storico e teoretico fondato sull’idea di chiarire il concetto di populismo. Tuttavia lo scopo dell’intera trattazione è quello di trovare nel nucleo politico oggetto di interpretazione l’elemento di chiarificazione dell’attuale crisi vissuta nella cultura italiana, quindi la semantica della categoria in base alla quale potrebbe essere possibile far luce in modo nuovo viene sulle condizioni storiche che hanno condotto alla situazione attuale. In tal modo viene determinata una definizione che ci permette di comprendere la funzione di un’ermeneutica pragmatica della situazione morale, economica e politica vissuta dagli intellettuali del nostro paese. In particolare è bene precisare che la cronologia degli eventi si colloca dopo la crisi dell’ideologia relativa al 1989. Pertanto occorre ricordare che il 1991-92 rappresenta il momento iniziale della genesi del berlusconismo destinato a durare dal 1994 al 2011, periodo nel quale Berlusconi con piccoli intervalli esercita la funzione di leader politico nel governo della nazione. All’interno di questa situazione storica, che investe direttamente la nostra contemporaneità, si pone l’istanze teoretica di trovare una accettabile definizione della categoria di populismo fra le tante proposte dagli interpreti politici, storici e sociologi. Così, attraverso i diversi aspetti del concetto menzionato ci accorgiamo che il fenomeno politico conseguente alla crisi delle ideologie è caratterizzato da un interclassismo di base, il quale permette di evidenziare un elemento capace di accomunare per certi aspetti molte istanze di cui si fanno interpreti tanto la destra quanto la sinistra nella politica del nostro paese.
Infatti, il risultato di fondo è quello per cui i nuovi movimenti confluenti nel berlusconismo sospendono le istanze liberali in una posizione di antidemocrazia. Ciò comporta essenzialmente che l’impronta che fa da modello al populismo nella storia dell’unità italiana è costituita concettualmente dai caratteri emergenti dal fascismo. Perciò il riferimento unificante delle questioni politiche è quello del carisma del capo dotato di un fascino capace di porlo al di sopra della comunità civile in modo da giustificare la sua presunta superiorità e la sua funzione di guida del popolo. Ne deriva complessivamente una nuova posizione formalmente neoliberale e sostanzialmente antidemocratica che è caratterizzata da un apparente primato della tecnologia.
In questa situazione la propaganda politica giustifica la gestione del potere nella forma del populismo esercitata nella sostanza di un’imposizione che può servirsi anche, se necessario, della violenza in varie forme; mentre nella situazione più recente la coesione sociale al sistema viene assicurata dalla propaganda televisiva in quanto quest’ultima beneficia di un potere suggestivo in base al quale si possono addormentare le attitudini critiche della comunità sociale. Pertanto, in questo quadro prospetticamente complesso si affermano varie forme di governo comunque improntate a modelli dittatoriali. Questo è il clima nel quale si delinea, in una prospettiva etico- politica, il berlusconismo. Di fatto, il populismo in questa prospettiva storica appare in realtà come un’eredità lontana nella quale lo stesso berlusconismo nasce alcuni decenni prima del potere esercitato effettivamente dal leader politico in carica.
Questa forma politica è manifestata anche dalla propaganda attraverso una visione sostanzialmente manichea nella quale il potere giustifica i suoi interventi attraverso un’etica pubblica improntata alla netta contrapposizione del bene e del male, per cui il potere politico fa rientrare la sua azione educativa in un modello totalizzante che ricorda la filosofia dello stato etico. Nell’insieme siamo di fronte a un populismo che maschera un nazionalismo autoritario. Ciò si esprime al vertice del potere politico mediante un modello etico, autoreferenziale e narcisistico.
Da un punto di vista storico viene riconosciuto che il populismo costituisce un carattere originario della cultura politica italiana a partire dal 1700. Ciò dipende anche dalle costatazioni avanzate criticamente da Leopardi. Quindi, in questo quadro interpretativo il popolo costituisco sostanzialmente una massa salvifica ed incolta. L’essenza della questione conduce all’idea fondamentale in base alla quale nel populismo l’unificazione sociale approda all’idea del popolo armato che spersonalizza ogni scelta, tanto sul piano etico-educativo, quanto su quello politico.
Abbiamo pertanto una vera e propria post-democrazia che conserva la gestione del potere attraverso dei regimi bloccati con deleghe in bianco affidate dai cittadini al potere costituito, aprendo la via ad una cosiddetta democrazia plebiscitaria. Ne deriva che in una sintesi storica complessiva viene sostenuto l’itinerario nel quale i tre modelli del mito del capo, nella storia dell’Italia dall’unità ad oggi, sono prevalentemente rappresentati dalle tre figure di Crispi, Mussolini e Berlusconi che nel loro tempo indicano delle modalità tipiche di una politica populista. Quest’ interessante interpretazione storica del fenomeno del populismo conclude una narrazione che
l’autore ha svolto dettagliatamente in un’altra sua opera, la quale racconta e illustra la storia del risorgimento e dell’Unità d’Italia nel lungo periodo che dal 1848 giunge fino ai nostri giorni. Tuttavia, non possiamo dimenticare che il volume presentato manifesta una filosofia della storia di grande interesse e valore, nella quale assistiamo al superamento del conflitto tra la storia scientifica e la storia ideologica a favore di un’ermeneutica improntata all’idea per cui il racconto del passato prepara e caratterizza le condizioni del presente, dando luogo ad una serie di problemi aperti di cui dovrà senz’altro tenere conto chi dal punto di vista etico-politico, nonché da quello etico-educativo si propone di progettare il futuro. Ciò è particolarmente significativo in un tempo come il nostro nel quale la crisi rappresenta il nucleo problematico di una civiltà dinamicamente protesa al cambiamento.