Mounier: impegno politico e testimonianza cristiana - del prof. Roberto Gatti

 

Emmanuel Mounier considera attentamente il problema del rapporto tra cultura e azione politica. La prima attiene alla sfera della "contemplazione", cioè "quella parte della nostra attività che esamina i valori e se ne arricchisce estendendo il loro regno sull'umanità". La seconda è chiamata a mediare tra "etica" ed "economia" -vale a dire le sfere rispettivamente del "fare" e dell' "agire"- con l'obiettivo di realizzare nella complessità della vita sociale le istanze valoriali che la ricerca intellettuale evidenzia nella loro purezza e linearità.

Divergendo però dall'impostazione maritainiana, Mounier avverte e rende espliciti i limiti a suo avviso connessi all'identificazione di una cultura cristiana o di una filosofia cristiana ed osserva con forza -insistendo sulla strutturale irriducibilità del cristianesimo ad ogni progetto filosofico-politico- che "il n'y a pas plus de philosophie chrétienne qu'il n y a de doctrine sociale chrétienne ou de politique chrétienne". Altrove rileva che "rien n'est plus ambigu, fragile et contestable que les déductions politiques tirées de principes chrétiens". E' a partire da questa impostazione di fondo che rilegge la vicenda storica del rapporto tra cristianesimo e cultura ed osserva che l'idea di una cultura specificamente cristiana, in qualsivoglia campo, non ha caratterizzato neppure l'epoca medievale : "Nous avons pris nos exemples dans la structure de la vie publique, parce qu'elles frappent un plus grand nombre d'esprits. Nous aurions pu les prendre aussi bien dans la philosophie ou dans l'art. Pas plus qu'elles n'ont cherché à batir une cité matériellement différente de la cité antique, les hautes générations chr‚tiennes n'ont cherché à fonder un art nouveau ou une pensée nouvelle. On sait à quel point le Moyen Age a vecu sur le fond de la pensée antique. Le foisonnement de la première réflexion chrétienne s'est develloppé au plan de la théologie et de la morale, il n'a taillé ou retaillé des concepts que dans la mesure ou ce lui était utile pour préciser le dogme et l'exhortation".

Da queste premesse nasce l'indirizzo fondamentale della riflessione dell'autore del Manifesto del personalismo, intesa a suggerire - più che un progetto storico di trasformazione globale della società che sia basato, come in Maritain, sulla rilettura critica di alcune grandi categorie e di alcuni problemi centrali della filosofia politica- un metodo ed uno stile di presenza e di testimonianza del cristiano nel mondo. Si tratta quindi, per Mounier, di chiarificare il senso dell'"ispirazione cristiana" in politica più che di affrontare direttamente le questioni inerenti, sul piano teorico e pratico, a questa sfera. Da ciò deriva anche, più evidente ancora che nell'autore de L'uomo e lo Stato, la sostanziale, anche se non totale, indifferenza per le problematiche istituzionali, aspetto che, com'è stato osservato, è assente il più delle volte dalle sue pagine.

Il senso stesso e la portata della filosofia personalistica ne risultano notevolmente mutati rispetto all'interpretazione maritainiana: non più un "sistema", ma una "prospettiva", un "metodo", un'"esigenza". Come scrive lo stesso Mounier, "nous employons ce terme commode pour désigner une certaine perspective des problèmes humaines, et pour accentuer, dans la solution de la crise du XX siècle, certaines exigences qui ne sont pas toujours mises en valeur".

Dunque si potrebbe affermare -pur ovviamente schematizzando- che la finalità specifica del personalismo mounieriano è fondamentalmente quella di indicare una spiritualità dell'impegno e non tanto, o non comunque in maniera prevalente, di volgersi ad una sistematizzazione di carattere filosofico, progettuale o istituzionale. Com'è stato osservato, per Mounier, "il cristianesimo non imporrà una politica, ma solamente uno spirito in politica". La tendenza a rinchiudere, per così dire, la vicenda storica negli schemi propri di un progetto politico è avvertita, altresì, come incompatibile con la complessità della storia stessa nel suo divenire, quel divenire di cui Mounier avverte il senso misterioso e permanentemente nascosto all'uomo; ciò lo spinge a criticare ogni attitudine speculativa incline a ridurre la dinamica storica ad "una geometria in bianco e nero".

La stessa istanza rivoluzionaria sostenuta da Mounier -benché nasca dalla consapevolezza dell'urgenza e del carattere ormai ineluttabile, data la profondità della crisi della civiltà moderna a cavallo degli anni Trenta, di un rivolgimento radicale delle "strutture" delle società capitalistiche - si fonda e si giustifica innanzitutto nella prospettiva di una metanoia, di una conversione interiore dell'intelligenza e del cuore, che è presentata non unicamente come l'esito dell'evento rivoluzionario, ma come la premessa essenziale ed ineludibile per la riuscita autentica di esso, oltre che, in definitiva, come il suo aspetto maggiormente qualificante. Scrive Mounier esemplificando questo punto: "On veut que la révolution ce soit cet éblouissement rouge et flammes. Non, la révolution c'est un tumulte bien plus profond" ; è cambiare "le coeur de votre coeur". Purificare la rivoluzione significa innanzitutto formare una spiritualità ed un'ispirazione politiche nutrite della consapevolezza di non possedere in assoluto la verità nelle cose del mondo. Vuol dire impegnarsi nell’attuazione di uno spirito di autentico "servizio permanente" -e non a qualche "interesse mascherato"-, nell'"imparare ad essere persona" -e dunque a "trattare ciascun uomo come una persona, non come la cifra di un numero"-, nel non affidare tutte le speranze del cambiamento al "miracolo delle istituzioni", nel comprendere che nella rivoluzione "l'elemento spirituale domina sull'elemento politico e su quello economico". "Nous ne mériterons notre révolution -ribadisce Mounier- que si nous commencons pour nous bouleverser nous-memes d'abord". Sono questi gli elementi che confluiscono, com'è noto, nell'elaborazione di quella "tecnica dei mezzi spirituali" la quale costituisce, in ultima analisi, il vero nucleo della proposta politica di Mounier.

Connesso al rifiuto di una "filosofia cristiana" è quello -evidenziato particolarmente in Feu la chrétienté‚- dell'ideale della "nuova cristianità", cioè di una "civiltà cristiana" temporalmente organizzata e strutturata. La convinzione che si sia giunti non semplicemente all'esaurimento storico di una cristianità, ma al tramonto, necessario e positivo, di ogni forma di cristianità, cioè alla fine dell'"età costantiniana" in ogni sua possibile forma, segna il punto più marcato del distacco di Mounier da Maritain. Nel prendere le distanze da ogni ipotesi di "ordine temporale cristiano" -che in qualche modo fa trasparire la permanente e negativa influenza degli aspetti deteriori dell'"utopia teocratica" di stampo medievale-, Mounier osserva che l'influenza del cristianesimo sulla "civiltà" si è manifestata storicamente in forma "latérale, indirecte, biaisée" e che a questa incidenza si deve la capacità di reale fermentazione del Vangelo nella storia. La "fecondità indiretta" appare la logica propria che governa e deve governare il rapporto tra cristianesimo e vicenda umana, ed è quella logica che consente l'inserzione del Verbo nella storia senza rischiare di esaurirlo e di irrigidirlo (ed è il pericolo insito in ogni progetto di "ordine temporale cristiano") in un dato momento di essa. Richiamandosi all'immagine evangelica dell'azione cristianamente ispirata come "lievito" del mondo, Mounier la propone come criterio direttivo cui fare riferimento in questo ambito: "Une [...] image évangelique nous permet de saisir sous un éclairage voisin cette structure de l'action surnaturelle dans le régime temporel. C'est l'image du levain, du ferment ou du sel. Certains suivent du regard avec nostalgie ou désespoir, dans leur dérive, les derniers blocs de la chrétient‚ médiévale. On peut se demander si ce royaume charnel, dont l'ère chrétienne devait subir la tentation après le peuple juif, ne s'est pas formé sur une représentation déformée de la présence de l'Esprit dans l'histoire. Les théoriciens de la chrétient‚ césaro-papiste ont cru que la foi leur commandait d'organiser le monde en Dieu. Le problème est de savoir s'il n'est pas au moins aussi important, et plus conforme à l'enseignement évangélique, de désorganiser le monde en Dieu, je veux dire de le rendre transparent à Dieu quand les inévitables lourdures de son aménegement viennent sans cesse faire écran à Dieu. Il faut administrer, et cependant sauver l'inspiration de l'admnistration".

Il diverso modo di concepire la relazione tra fede, cultura e azione politica consente dunque di evidenziare differenze rilevanti nell'itinerario speculativo di Maritain e Mounier in ordine alle modalità della presenza cristiana nelle realtà secolari e nella storia.

Un’ulteriore diversificazione la si può registrare ove si consideri non più solo il metodo di questa presenza, ma la sua finalità. L'assoluta e incondizionata priorità attribuita dal fondatore di "Esprit" alla questione sociale configura infatti un orizzonte interpretativo notevolmente distante da quello maritainiano: alla centralità della riforma politica della democrazia subentra quella di una rivoluzione economica il cui scopo deve essere una "riorganizzazione delle strutture" produttive e distributive e una trasformazione radicale dei rapporti tra le classi, in modo che la democrazia da costruire abbia un preciso contenuto sociale. Mounier indica uno degli elementi di "verità" contenuti nel marxismo proprio nell'accentuazione del primato dell'economia e nella sottolineatura del fatto che, per essere efficace, ogni processo di emancipazione deve muovere da questa sfera della vita associata, a prezzo altrimenti di rimanere alla superficie dei fatti. Come egli scrive, "le marxisme a raison d'affirmer une certaine primaut‚ de l'économique". E continua: "Ne méprisent généralement l'économique que ceux qu'a cessé de harceler la névrose du pain quotidien [...]. A l'étape encore primaire de l'histoire oùnous sommes, les besoins, les habitudes, les intérets et le genes économiques déterminent massivement les comportements et les opinions des hommes". Da ciò peraltro "il n'en resulte pas que les valeurs économiques soient exclusives, ou superieures aux autres: le primat de l'économique est un desordre historique dont il faut sortir". Nel non aver colto la centralità nel momento attuale del problema economico sta la debolezza di ogni riformismo puramente politico; nell'aver assolutizzato questa centralità sta il limite strutturale del marxismo.

Per quanto concerne un ultimo punto, si può osservare che Mounier radicalizza la distinzione, già presente in Maritain, tra polo politico e polo profetico dell'impegno. Se un certo dualismo tra queste due dimensioni nasceva in Maritain dalla consapevolezza della difficoltà di individuare, in un determinato momento storico, forze storiche e istituzioni in grado di tradurre in prassi operante le istanze implicite nell'"ideale storico" della "nuova cristianità", in Mounier tale dualismo viene accentuato fino a divenire talvolta una vera e propria contrapposizione rigida: assume l'aspetto di una dicotomia che può apparire irricomponibile. Il modo stesso di porre il problema della relazione tra "volontà di purezza", che si incarna nella testimonianza, e "volontà di presenza", che si concretizza nella complessità dell'agire politico, sembra esplicitare la consapevolezza di un'impasse pressoché irrisolvibile: "Toute action n'est-elle pas condamnée à être inefficace dans la mesure où elle sera pure, impure dans la mesure où elle sera efficace?". Proprio la consapevolezza dell’inevitabile corruzione del valore morale nell'azione politica ha spinto sovente Mounier a prendere le distanze da quest'ultima e soprattutto a delinearla in termini di radicale negatività. Si è potuto così parlare di un "misticismo politico" mounieriano che gli impedirebbe di accettare e comprendere in pieno la complessità dell'agire politico, nonché di uno "spiritualismo di fondo" che esporrebbe il suo pensiero politico al rischio dell'astrattezza. In questo modo anche nell'autore della Rivoluzione personalista e comunitaria, e in forma più accentuata che in Maritain, dall'"etica dell'impegno" si passa a un'"etica della testimonianza"che lascia sostanzialmente non risolto il problema dell'efficacia storico-politica immediata dei progetti proposti.


Roberto Gatti

Il personalismo di Mounier e la questione dell’Africa del prof. Aurelio Rizzacasa

E. Mounier propone uno spiritualismo personalista che dal punto di vista filosofico si include nelle filosofie esistenziali, per cui la persona stessa comprende il valore della corporeità in base al quale possiamo senz’altro sostenere che si tratta di una soggettività incarnata.

Il suo è di fatto per motivi di solidarietà sociale un vero e proprio personalismo comunitario. In questo quadro di riferimento la comunità si apre ad un centro relazionale più profondo per il quale possiamo senz’altro dire che l’obiettivo valoriale è quello della comunione. Questa concezione si inquadra nel pensiero cristiano per cui il momento spirituale si colloca nella storia umana ma determina il suo senso e il suo significato al di là di un concetto puramente sociopolitico di rivoluzione. Si tratta infatti di recuperare l’umano nell’uomo in tutte le situazioni storiche il che supera il concetto di utopia promuovendo una speranza di miglioramento del mondo. Ciò implica un tentativo di sintesi tra l’antropocentrismo e il teocentrismo che altrimenti nel loro isolamento divengono soluzioni estreme e fallimentari. In tal caso l’impegno nella storia si colloca nel duplice orizzonte della presenza e della testimonianza. Dal punto di vista delle progettazioni politiche possiamo dire che la rivoluzione personalistica e comunitaria di Mounier si pone sulla linea in base alla quale il cristianesimo non è un’ideologia, il che pone in primo piano l’aspetto etico e manifesta una particolare forma di attualità anche nel nostro tempo caratterizzato politicamente dalla crisi delle ideologie. Di fatto, il nostro pensatore coniuga il suo personalismo con le istanze perenni dell’esistenzialismo, ponendosi in un orizzonte agostiniano che raccoglie la doppia eredità del pensiero di J. Nabert e di G. Marcel. Naturalmente tale pensiero si presenta come una forma qualificata e autentica di intellettualismo capace di favorire il processo educativo ma insufficiente per l’utilitarismo dell’azione. Ciò comporta la valorizzazione del dialogo e la rinuncia ad essere l’elemento fondativo di un partito politico. Quello di Mounier non può essere qualificato, per i motivi precedentemente indicati, come un utopismo della tarda modernità. La sua strategia formativa si inquadra nell’idea di applicare il vangelo alle situazioni storiche. Il suo è quindi una forma di ottimismo tragico in quanto, da un lato, valorizza l’umanesimo ma, dall’altro, non ignora la presenza del negativo nelle condizioni storiche del suo tempo. Così possiamo senz’altro riconoscere che egli crea le condizioni per stabilire un legame significativo tra profezia e politica. Il tentativo di Mounier è quello di realizzare la sintesi in apparenza impossibile tra le ragioni di K. Marx e quelle di S. Kierkegaard. Da un punto di vista sociale, la sua caratterizzazione delle vicende storiche propone l’emergenza della persona in contrapposizione al concetto marxiano di classe, in quanto quest’ultimo è responsabile di una conflittualità esasperata che rende difficile la rivoluzione comunitaria. Infatti, la sua idea è quella di favorire il passaggio progressivo dalla società alla comunità. In questo senso, il suo pensiero fa senz’altro prevalere l’etica rispetto all’ontologia. Questo spiega la differenza della sua posizione rispetto a quella essenzialmente tomista di J. Maritain. Il suo è un pensiero dinamico posto in contrapposizione a quello statico dei filosofi aperti all’ontologia.

Le precedenti linee filosofiche vengono applicate anche nella redenzione politico-sociale dell’Africa dopo il colonialismo. Gli scritti sull’Africa si collocano in un contesto di viaggi che portarono Mounier, tra il ’46 e il ’49, non solo nel continente nero (1947), ma in varie parti dell’Europa, tra cui anche l’Italia. I dati storici su questo argomento concernono il contesto dell’africa francese nella situazione post-coloniale che Mounier indica nel suo diario di viaggio pubblicato con il titolo La Rotta Nera che si riferisce al periodo compreso tra l’11 marzo e il 23 aprile 1947.

I problemi affrontati riguardano la liberazione non solo esteriore e politica ma anche interiore ed etica dell’Africa che risvegliandosi è chiamata ad un adeguamento critico alla difficile situazione post-bellica e post-coloniale della nostra contemporaneità. In questa direzione Mounier cerca di rispettare l’autentica identità dell’Africa rispetto al pericolo che il rapido progresso della civiltà possa riprodurre nel continente nero tutte le negatività dell’Europa civilizzata. 

 

Aurelio Rizzacasa

 

 

 

Emmanuel Mounier, sintesi perfetta tra personalismo e bene comune

 

Un pensatore straordinario che ha saputo condensare la critica al capitalismo di Marx con i grandi ideali della Rivoluzione Francese, a partire dalla tutela della libertà personale.”

Una sintesi efficace ed esaustiva quella del filosofo Emmanuel Mounier fornita dal prof. Giovanni Bianco nell’introduzione al convegno che si è svolto martedì 27 giugno presso la Sala Conferenze della Curia Arcivescovile di Civita Castellana. Il personalismo di Mounier - prosegue Bianco - è caratterizzato dall’elemento utopico come movimento delle forze collettive anche se in una chiave critica dello stato comunitario, ivi compreso quello sovietico. La società deve necessariamente fondarsi sulla fusione tra personalismo e bene comune e, come già ampiamente affermato nell’Esprit del 1932, occorre rifare il Rinascimento basandosi sui valori fondanti della società e su una costante ricerca di un umanesimo di tipo cristiano. L’uomo deve ricercare la propria via basandosi sull’interiorità che non sconfini però nel solipsismo o nell’allontanamento dalla comunità.

 “Mounier introduce, in ambito filosofico, il concetto di rivoluzione come rinascita interiore presupposto fondamentale per la riuscita stessa delle rivoluzioni che devono essere “purificate” – ha continuato il prof. Roberto Gatti - lo Stato in questa visione non è fondatore ma custode di valori che nascono nella comunità.

Il personalismo di Mounier è più etico che giuridico – ha specificato il prof. Aurelio Rizzacasa - e consiste nella volontà di far riemergere, nelle situazioni storiche, ciò che nell’uomo è umano. Il filosofo interpella la politica non dimenticando il messaggio della fede con la presenza di Dio nella storia.

La tendenza di Mounier è quella di immaginare una struttura socialista dello Stato – ha concluso il Intervento del prof. Nicola Tranfaglia – che non si identifica però con i regimi comunisti e che fa del superamento del capitalismo un elemento di progresso.”

Il convegno di martedì 27 giugno è stato organizzato dall’associazione culturale nazionale Giorgio La Pira, presieduto dal Dott. Emilio Corteselli, con il patrocinio della Fondazione "Giorgio La Pira", dell'Accademia di studi storici "Aldo Moro", dell'Archivio storico Flamigni, del Comune di Civita Castellana e dell’Istituto Midossi.

 

Dottoressa Simona Tenentini